Intervista Luigi Cavallaro, magistrato del lavoro presso il Tribunale di Palermo
Luigi Cavallaro è magistrato del lavoro a Palermo. E’ tra i primi a commentare l’atto del Presidente della Repubblica che ha rimandato al Parlamento il ”Collegato lavoro”. Un fatto sicuramente positivo, anche se Cavallaro non si nasconde le difficoltà che si aprono a questo punto della vicenda. «Il 5 febbraio scorso il Pd ha presentato un disegno di legge - ricorda - che prevede che per i primi tre anni dall’assunzione, a prescindere dal numero di dipendenti dell´impresa, il datore di lavoro ti può licenziare per motivi economici e nel caso in cui il giudice dovesse ritenere quei motivi fasulli non ti può reintegrare nel posto di lavoro. Cioè, l’articolo 18 non si applica».
Quale è la tua reazione a caldo dopo aver letto le motivazioni con le quali il Presidente della Repubblica ha rimandato alle Camere sul ”Collegato lavoro”?
Mi sembra che il Presidente della Repubblica abbia dato voce a quelle che erano state le principali preoccupazioni formulate da un´ampia parte della comunità dei giuslavoristi e da una parte del sindacato. Napolitano fa riferimento alla possibile incostituzionalità della disciplina dell’arbitrato, in base alla quale diventava possibile la pattuizione di una clausola compromissoria al momento dell´assunzione da parte del lavoratore. Il Presidente della Repubblica ha messo in evidenza che una norma del genere è sospetta d’incostituzionalità, perché comporta una rinuncia tout court al magistrato, mentre adesso eventuali clausole compromissorie non precludono il ricorso al giudice.
Nelle motivazioni si fa riferimento più volte alla Corte Costituzionale.
Nel messaggio presidenziale sono citate diverse sentenze della Corte Costituzionale, a partire da quella del 1966. Il punto messo in evidenza è proprio quello della debolezza del lavoratore nella fase di stipula del contratto di lavoro: un momento delicato in cui massima deve essere l´attenzione dell´ordinamento. La caratteristica del nostro diritto del lavoro è proprio quella di presupporre che le parti del contratto di lavoro non siano eguali: in virtù della esistenza di diverse condizioni economiche e sociali, una è più forte dell´altra. Lo dice anche l´articolo 3 della Costituzione italiana che non basta essere cittadini per essere uguali, obbligando la Repubblica addirittura alla rimozione degli ostacoli affinché l´uguaglianza possa esercitarsi. Per aversi un vero accordo bisogna stare sullo stesso piano. E´ per questo che interviene la legge.
Sull´articolo 31 Napolitano si dilunga parecchio.
Questa era la parte più dirompente del disegno di legge. Napolitano spiega chiaramente che, sebbene il ddl rimettesse ai contratti collettivi la possibilità di istituire l’arbitrato, si prevedeva anche un intervento suppletivo del Ministro del lavoro che l’avrebbe consentita anche nel caso in cui i contratti collettivi non l´avessero permessa. L’intero diritto del lavoro sarebbe stato di fatto abrogato con un semplice regolamento ministeriale!
A questo punto cosa faranno le Camere?
Teoricamente le Camere potrebbero riapprovare la legge così come è, e il Presidente essere costretto a promulgarla. Ma messo così è astratto. Dei rilievi presidenziali si dovrà tener conto e se tutte le preoccupazioni del Quirinale venissero recepite dal parlamento la disposizione incriminata dovrebbe scomparire. Il problema però è che ormai vogliono fare fuori l´articolo 18. E lo vogliono fare fuori non solo quelli che sono al governo ma anche quelli che sono all´opposizione. Il 5 febbraio scorso il Pd ha presentato un disegno di legge che prevede che per i primi tre anni dall´assunzione, a prescindere dal numero di dipendenti dell´impresa, il datore di lavoro ti può licenziare per motivi economici e nel caso in cui il giudice dovesse ritenere quei motivi fasulli non ti può reintegrare nel posto di lavoro. Cioè, l´articolo 18 non si applica. Purtroppo, la spinta a sostituire alla reintegrazione del posto di lavoro una misura risarcitoria, sia con gli arbitrati che con il contratto di ingresso, è una spinta fortissima. Arriva dalla Costituzione europea, sebbene siano pochi ad essersene accorti.
di Fabrizio Salvatori (Liberazione)
Quale è la tua reazione a caldo dopo aver letto le motivazioni con le quali il Presidente della Repubblica ha rimandato alle Camere sul ”Collegato lavoro”?
Mi sembra che il Presidente della Repubblica abbia dato voce a quelle che erano state le principali preoccupazioni formulate da un´ampia parte della comunità dei giuslavoristi e da una parte del sindacato. Napolitano fa riferimento alla possibile incostituzionalità della disciplina dell’arbitrato, in base alla quale diventava possibile la pattuizione di una clausola compromissoria al momento dell´assunzione da parte del lavoratore. Il Presidente della Repubblica ha messo in evidenza che una norma del genere è sospetta d’incostituzionalità, perché comporta una rinuncia tout court al magistrato, mentre adesso eventuali clausole compromissorie non precludono il ricorso al giudice.
Nelle motivazioni si fa riferimento più volte alla Corte Costituzionale.
Nel messaggio presidenziale sono citate diverse sentenze della Corte Costituzionale, a partire da quella del 1966. Il punto messo in evidenza è proprio quello della debolezza del lavoratore nella fase di stipula del contratto di lavoro: un momento delicato in cui massima deve essere l´attenzione dell´ordinamento. La caratteristica del nostro diritto del lavoro è proprio quella di presupporre che le parti del contratto di lavoro non siano eguali: in virtù della esistenza di diverse condizioni economiche e sociali, una è più forte dell´altra. Lo dice anche l´articolo 3 della Costituzione italiana che non basta essere cittadini per essere uguali, obbligando la Repubblica addirittura alla rimozione degli ostacoli affinché l´uguaglianza possa esercitarsi. Per aversi un vero accordo bisogna stare sullo stesso piano. E´ per questo che interviene la legge.
Sull´articolo 31 Napolitano si dilunga parecchio.
Questa era la parte più dirompente del disegno di legge. Napolitano spiega chiaramente che, sebbene il ddl rimettesse ai contratti collettivi la possibilità di istituire l’arbitrato, si prevedeva anche un intervento suppletivo del Ministro del lavoro che l’avrebbe consentita anche nel caso in cui i contratti collettivi non l´avessero permessa. L’intero diritto del lavoro sarebbe stato di fatto abrogato con un semplice regolamento ministeriale!
A questo punto cosa faranno le Camere?
Teoricamente le Camere potrebbero riapprovare la legge così come è, e il Presidente essere costretto a promulgarla. Ma messo così è astratto. Dei rilievi presidenziali si dovrà tener conto e se tutte le preoccupazioni del Quirinale venissero recepite dal parlamento la disposizione incriminata dovrebbe scomparire. Il problema però è che ormai vogliono fare fuori l´articolo 18. E lo vogliono fare fuori non solo quelli che sono al governo ma anche quelli che sono all´opposizione. Il 5 febbraio scorso il Pd ha presentato un disegno di legge che prevede che per i primi tre anni dall´assunzione, a prescindere dal numero di dipendenti dell´impresa, il datore di lavoro ti può licenziare per motivi economici e nel caso in cui il giudice dovesse ritenere quei motivi fasulli non ti può reintegrare nel posto di lavoro. Cioè, l´articolo 18 non si applica. Purtroppo, la spinta a sostituire alla reintegrazione del posto di lavoro una misura risarcitoria, sia con gli arbitrati che con il contratto di ingresso, è una spinta fortissima. Arriva dalla Costituzione europea, sebbene siano pochi ad essersene accorti.
di Fabrizio Salvatori (Liberazione)