mercoledì 29 aprile 2009

Acqua, spa pubbliche fuori regola. Il 50% delle aziende di proprietà dei Comuni ancora non rispetta le norme europee sull'«in house»


dal Sole 24 Ore:

Le gestioni di società pubbliche in house - affidate direttamente da enti locali a proprie aziende aggirando gare o qualunque altra forma di concorrenza - restano un fattore di forte inefficienza per i servizi idrici in Italia e impediscono gestioni industriali più competitive di acquedotti, fognatura e depurazione. Delle 61 società che oggi operano nel settore idrico sulla base del contratto in house, il 50% resta fuori regola rispetto alle direttive comunitarie. L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha quindi deciso di intervenire nuovamente imponendo a 29 di queste gestioni correttivi statutari, limitazioni all'attività "fuori casa" o fuori settore: l'obiettivo è ridurre gli affidamenti illegittimi e le distorsioni di mercato, contenendo i tentativi di sconfinamento illegittimo delle spa pubbliche. Per la legislazione e la giurisprudenza comunitaria, infatti, l'in house resta una modalità di affidamento eccezionale e non potrebbe dilagare - come accade in Italia dalla riforma Buttiglione del 2005 in avanti - fino al punto di diventare di gran lunga la forma di gestione più diffusa nell'acqua e negli altri servizi pubblici locali.L'Autorità presieduta da Luigi Giampaolino sottolinea però anche, con la delibera 24/2009, lo sforzo fatto tra il novembre 2008 e oggi per riportare dentro la regola 26 gestioni. Al momento della prima delibera dell'Autorità sulla materia, infatti, le gestioni in regola erano sei. Oggi sono 32 le società «conformi» e altre 26 sono quelle sottoposte agli adeguamenti suggeriti dagli stessi azionisti delle spa pubbliche (in prevalenza consorzi o associazioni di Comuni) o imposti dall'Autorità. Se il lavoro arrivasse in porto con successo potrebbero restare solo tre gestioni «non conformi». Ma è legittimo chiedersi se - nel caos delle public utilities locali in Italia, dove dilaga la mano pubblica e non si riesce a imporre una riforma concorrenziale neanche minima - gli adeguamenti imposti dall'Autorità nel settore idrico rappresentino una svolta sostanziale o soltanto un imbellettamento di tipo giuridico-formale. Un dubbio cui non è estranea la stessa Autorità. «Permangono - afferma la delibera 24 - considerazioni di ordine generale circa la compatibilità dell'istituto dell'in house providing con i principi ispiratori della legge Galli». Considerazioni già espresse dall'Antitrust e dal ministero dell'Ambiente che non impediscono però all'Autorità per i contratti pubblici di considerare positivo il percorso intrapreso, al punto da volerlo estendere in futuro ad altri settori, come quello dei rifiuti. Nella gran parte dei casi esaminati, i vincoli statutari impongono alle aziende e alla loro governance due paletti comunitari tipici: le clausole del «controllo analogo» e dell'attività prevalente. Con la prima clausola si riduce l'autonomia della società di gestione, rafforzando il controllo pubblico. Con la seconda si limitano le diversificazioni dal core business. L'irrigidimento della gestione e la limitazione dell'attività sociale sono strumenti che la Ue utilizza per scoraggiare il ricorso a gestioni fuori mercato e favorire il passaggio a forme diverse, come la concessione a privati o la spa mista pubblico-privato, più adatte al carattere industriale del servizio idrico. Un esempio positivo di adeguamento è Metropolitana milanese, società che gestisce l'acqua per il comune di Milano e ha per unico socio lo stesso Comune. La gestione è risultata conforme al nuovo esame proprio in quanto è stata ridimensionata l'attività per committenti diversi dal Comune di Milano (il 5,6% del fatturato nel 2008) e il 3 novembre 2008 sono state costituite due società cui conferire queste attività (tra cui quelle tecnico-ingegneristiche sulle infrastrutture).Un caso opposto è quello dell'ambito territoriale ottimale di Mantova, dove le gestioni fuori regola e in attesa di nuovo esame sono tre: Tea, Sicam e Indecast. Si tratta di società operanti in gruppi connotati «da chiara vocazione commerciale» per cui l'Autorità rileva la «incoerenza dell'affidamento in relazione alle caratteristiche della società». Le società contestano anche la giurisdizione dell'Autorità, che tocca aspetti della concorrenza tipici dell'Antitrust; ma resta il verdetto che rileva come le «ulteriori attività oltre al servizio idrico integrato non appaiono di carattere marginale». Questi gruppi esercitano infatti anche distribuzione e vendita dell'energia, gas metano, riscaldamento, raccolta rifiuti, gestioni discariche, verde pubblico, manutenzione e gestione del patrimonio immobiliare.«Alcuni dei casi esaminati - sostiene il relatore della delibera, Andrea Camanzi - dimostrano proprio l'utilità del nostro intervento: mettere questi vincoli a gestioni che risultano molto lontane dal modello europeo dell'in house pubblico concentrato sulla gestione idrica, può indurre gli enti locali azionisti a un grosso sforzo di adeguamento oppure, in alternativa, alla cessazione del contratto in essere per passare a forme alternative e più aperte di affidamento». In questa dialettica fra Autorità, enti locali e società pubbliche, non mancano anche le bocciature secche. Come nel caso delle due gestioni Deiva Sviluppo e Oasi che operano in porzioni limitatissime dell'ambito territoriale di La Spezia. Per l'Autorità queste gestioni sono «non conformi» perché si configurano negli statuti come holding che possono acquisire partecipazioni anche azionarie in altre società o enti. La risposta che le due spa avrebbero avviato profondi riassetti societari finalizzati alla ricerca di un socio privato non è considerata sufficiente.