Chi è Maruccio, l'uomo del disastro
di Andrea Palladino
Ritratto dell'ex enfant prodige del partito nel
Lazio. Spuntanto dal nulla e arrivato in pochi anni alla stanza dei
bottoni del partito. E ora finito in carcere
(13 novembre 2012)
L'ex capogruppo dell'Idv alla Pisana, Vincenzo Maruccio, è
stato arrestato il 13 novembre 2012 con l'accusa di peculato per
l'illecita appropriazione di fondi destinati al partito
"Voce del verbo fare". Amava scrivere così sui manifesti elettorali, Vincenzo Maruccio, l'enfant prodige dell'Idv del Lazio, spuntato dal nulla, arrivato in pochi anni prima al potente studio legale romano di Sergio Scicchitano, ombra di Di Pietro, poi nella stanza dei bottoni del partito. Per finire, però, nel registro degli indagati della Procura romana. Con l'accusa di peculato.
Quella poltrona all'assessorato dei Lavori pubblici della giunta Marrazzo l'aveva voluta con forza. Posto chiave, dove si prendono le decisioni fondamentali sulle grandi opere, fra cemento, potere e tanti, tanti soldi. Così, dopo essere stato catapultato dal nulla fino alla giunta regionale per sei mesi, fra il 2009 e il 2010, il trentunenne avvocato di Antonio Di Pietro lascia l'assessorato per la difesa dei consumatori, considerato di serie B, per entrare nel sancta sanctorum dei fondi regionali.
Con un'idea precisa: tutte le grandi opere vanno realizzate, mettendo da parte quei rompiscatole dei comitati cittadini. Sì, dunque, alla striscia di asfalto della nuova autostrada Cisterna-Valmontone, progetto ereditato dal precedente assessore Bruno Astorre, ex Margherita.
Sì al raddoppio della Pontina, sfidando l'opposizione degli ambientalisti. Sì all'espansione dei porti sulla costa laziale, il boccone ghiotto che piace tanto ai grandi investitori. Mafie comprese. La colata di opere, cemento e asfalto finite in mano al giovanissimo avvocato originario di Vibo Valentia non poteva, però, non attirare lo sguardo interessato di quell'area grigia a cavallo tra massoneria e cosche della 'ndrangheta. Siamo nel marzo del 2010, pochi giorni prima delle elezioni regionali, quando Vincenzo Maruccio è assessore della giunta uscente. La Dda di Catanzaro sta monitorando i telefoni di un gruppo di imprenditori calabresi, per un'indagine delicata e riservata sui presunti contatti tra la cosca Mancuso di Vibo Valentia e un'associazione culturale con sede a Roma, in odore di massoneria. Francesco Comerci - ritenuto dal pm Bruni «prestanome per conto di Nicola Tripodi» nella società romana Edil Sud e accusato di associazione mafiosa - parla con Rosario Presti, imprenditore formalmente immacolato.
Spiega di aver incontrato un politico calabrese, attivo a Roma: un'assessore regionale, un pezzo grosso. I magistrati di Catanzaro sembrano non avere dubbi, anche perché all'epoca quel ritratto poteva corrispondere solo a Maruccio, l'uomo che aveva riempito Roma con la "voce del verbo fare" e che, dal niente, era poi stato eletto con 8.030 preferenze. Il contenuto della telefonata sembra chiaro: voti, in cambio di appalti. Un'ombra che si allunga sull'uomo chiave dell'Italia dei valori nel Lazio, uno dei più vicini a Di Pietro, che per ogni questione, ogni dubbio, ogni decisione ripeteva ormai come un disco: «Chiamatemi Maruccio». E lui arrivava, alzandosi dalla doppia poltrona di capogruppo in Regione e di segretario politico.
La bufera scoppia all'improvviso. Quando la Banca d'Italia segnala ai magistrati una serie di movimenti sospetti sul conto corrente dell'Idv della Regione Lazio. Dopo una prima verifica scatta per Maruccio l'iscrizione nel registro degli indagati, con l'accusa di peculato. «Per ora lavoriamo su questo fatto preciso, poi vedremo», commentano i pm, assicurando, però, che gli investigatori stanno ricostruendo passo dopo passo la fulminante ascesa dell'avvocato calabrese. Dietro le bocche cucite dei magistrati si intuisce che l'asse Calabria-Lazio potrebbe risultare estremamente interessante, anche perché non è chiaro che fine abbiano fatto i soldi entrati nei conti di Maruccio. Gli estratti bancari mostrano un vorticoso giro di entrate e uscite, che l'ex capogruppo Idv giustifica con la "normale" attività politica. Acquisto dei condom per il Gay Pride compreso.
"Voce del verbo fare". Amava scrivere così sui manifesti elettorali, Vincenzo Maruccio, l'enfant prodige dell'Idv del Lazio, spuntato dal nulla, arrivato in pochi anni prima al potente studio legale romano di Sergio Scicchitano, ombra di Di Pietro, poi nella stanza dei bottoni del partito. Per finire, però, nel registro degli indagati della Procura romana. Con l'accusa di peculato.
Quella poltrona all'assessorato dei Lavori pubblici della giunta Marrazzo l'aveva voluta con forza. Posto chiave, dove si prendono le decisioni fondamentali sulle grandi opere, fra cemento, potere e tanti, tanti soldi. Così, dopo essere stato catapultato dal nulla fino alla giunta regionale per sei mesi, fra il 2009 e il 2010, il trentunenne avvocato di Antonio Di Pietro lascia l'assessorato per la difesa dei consumatori, considerato di serie B, per entrare nel sancta sanctorum dei fondi regionali.
Con un'idea precisa: tutte le grandi opere vanno realizzate, mettendo da parte quei rompiscatole dei comitati cittadini. Sì, dunque, alla striscia di asfalto della nuova autostrada Cisterna-Valmontone, progetto ereditato dal precedente assessore Bruno Astorre, ex Margherita.
Sì al raddoppio della Pontina, sfidando l'opposizione degli ambientalisti. Sì all'espansione dei porti sulla costa laziale, il boccone ghiotto che piace tanto ai grandi investitori. Mafie comprese. La colata di opere, cemento e asfalto finite in mano al giovanissimo avvocato originario di Vibo Valentia non poteva, però, non attirare lo sguardo interessato di quell'area grigia a cavallo tra massoneria e cosche della 'ndrangheta. Siamo nel marzo del 2010, pochi giorni prima delle elezioni regionali, quando Vincenzo Maruccio è assessore della giunta uscente. La Dda di Catanzaro sta monitorando i telefoni di un gruppo di imprenditori calabresi, per un'indagine delicata e riservata sui presunti contatti tra la cosca Mancuso di Vibo Valentia e un'associazione culturale con sede a Roma, in odore di massoneria. Francesco Comerci - ritenuto dal pm Bruni «prestanome per conto di Nicola Tripodi» nella società romana Edil Sud e accusato di associazione mafiosa - parla con Rosario Presti, imprenditore formalmente immacolato.
Spiega di aver incontrato un politico calabrese, attivo a Roma: un'assessore regionale, un pezzo grosso. I magistrati di Catanzaro sembrano non avere dubbi, anche perché all'epoca quel ritratto poteva corrispondere solo a Maruccio, l'uomo che aveva riempito Roma con la "voce del verbo fare" e che, dal niente, era poi stato eletto con 8.030 preferenze. Il contenuto della telefonata sembra chiaro: voti, in cambio di appalti. Un'ombra che si allunga sull'uomo chiave dell'Italia dei valori nel Lazio, uno dei più vicini a Di Pietro, che per ogni questione, ogni dubbio, ogni decisione ripeteva ormai come un disco: «Chiamatemi Maruccio». E lui arrivava, alzandosi dalla doppia poltrona di capogruppo in Regione e di segretario politico.
La bufera scoppia all'improvviso. Quando la Banca d'Italia segnala ai magistrati una serie di movimenti sospetti sul conto corrente dell'Idv della Regione Lazio. Dopo una prima verifica scatta per Maruccio l'iscrizione nel registro degli indagati, con l'accusa di peculato. «Per ora lavoriamo su questo fatto preciso, poi vedremo», commentano i pm, assicurando, però, che gli investigatori stanno ricostruendo passo dopo passo la fulminante ascesa dell'avvocato calabrese. Dietro le bocche cucite dei magistrati si intuisce che l'asse Calabria-Lazio potrebbe risultare estremamente interessante, anche perché non è chiaro che fine abbiano fatto i soldi entrati nei conti di Maruccio. Gli estratti bancari mostrano un vorticoso giro di entrate e uscite, che l'ex capogruppo Idv giustifica con la "normale" attività politica. Acquisto dei condom per il Gay Pride compreso.