lunedì 3 agosto 2009

Pd e dintorni: riflessioni di mezz'estate.



IL PARTITO CHE NON C'E' di Edmondo Berselli -L'Espresso.
Un equivoco incombe sul Pd e può soffocarlo. L'equivoco si iscrive nella parola 'partito'. Perché se lo scopo principale della dirigenza democratica consiste nell'articolare le strutture di una forza politica tradizionale, la parabola del Pd si è già interrotta.

Non si fa un partito compatto con il vuoto intorno. Non serve a nulla cercare il 'terzo uomo', o donna che sia, fra scelte coatte e lotte personali che risalgono alla Fgci. Serve a poco la caccia al giovane, soprattutto se i giovani sono inclini al populismo vernacolare di Matteo Renzi o politichine miracolate dalle circostanze come Debora Serracchiani (molti di loro, i cosiddetti 'piombini', sembrano 'giovani' specializzati nel fare 'il giovane' come in un film di Nanni Moretti).

Nonostante le rassicurazioni di Franceschini, e qualche salvataggio in corner alle amministrative, il Pd è un progetto pericolante. In primo luogo perché non ha ancora trovato la sua leadership. Secondariamente perché non è riuscito a declinare una cultura e a individuare un insediamento sociale e politico coerente ed espansivo.

Quanto al primo punto, classe dirigente e leadership, le implicazioni sono evidenti. I due principali candidati alla segreteria, Franceschini e Bersani, rappresentano esattamente ciò che sono: il primo, un frammento di cultura cattolica di cui è arduo individuare i confini, ma di cui si vedono facilmente i limiti (definiti da una posizione cristiano-sociale scarsamente orientata all'azione di governo).

Per ciò che riguarda Bersani, gli si può dare atto di una buona volontà nel colorare il compromesso socialdemocratico all'emiliana con la tradizione solidarista del mondo cattolico. Tuttavia, nonostante il sostanziale sostegno di Romano Prodi, quello di Bersani resta un progetto fin troppo tradizionale, difficilmente in grado di schiodare coalizioni di interessi finiti sotto la sigla berlusconiana.


La tentazione meno brillante, per il Pd, consisterebbe nel cercare soluzioni personaliste in assenza di personalità vere. Tanto per dire, si può giurare sulla capacità di amministratore di un uomo come Sergio Chiamparino. Ma nessuno può scommettere sulla sua qualità politica in senso lato. Sotto questa luce il 'Chiampa' vale, per capirci, Piero Fassino. Provata capacità professionale su una base migliorista.

Pensare allora di quadrare il cerchio di un congresso con l'invenzione di una leadership, o piuttosto di una candidatura, significa perdere di vista l'obiettivo di fondo. Che per il Pd consiste ancora nella costruzione di un movimento, proprio così, di un movimento politico, sociale e d'opinione, ben prima che di un partito strutturato.

Non ce l'ha fatta Veltroni, a confezionare questo post-partito, anche se il Lingotto era sembrato il romanzo di formazione, e di fondazione, di un movimento originale. Ma non c'è in gioco soltanto il 'Bildungsroman' della sinistra moderna, nei prossimi quattro mesi. C'è in ballo la chance di un'alternativa culturale al berlusconismo: ma per crearla occorre scappare fuori dal circuito dell'ovvio. E soprattutto dall'idea che il Pd sia già fatto e occorra soltanto sistemare le poltroncine.

No, al momento il Pd non esiste. Per farlo nascere non bisogna pensare a un partito, ma a una cultura. Ci vuole, e non sembri una bestemmia politica, la fantasia e la capacità di fare una Forza Italia di sinistra. Un non partito, certo. Uno strumento laico, secolarizzato, versatile, per lasciare al passato gli ideologismi della memoria politica. E con l'idea, finalmente, di passare all'attacco della destra, senza inibizioni, senza condizionamenti.