mercoledì 9 gennaio 2013

Ormai la LEGA sembra Mastella!


di Paolo Fantauzzi (L'Espresso)

Il nuovo patto con il Pdl è l'ultimo atto di un'involuzione incredibile: i 'barbari' che dovevano 'fare pulizia a Roma' sono diventati i più assidui frequentatori di poltrone e rimborsi. A cui non vogliono rinunciare
(09 gennaio 2013)
Del cappio sventolato minacciosamente in Parlamento ormai resta ben poco. Era il 16 marzo 1993 quando Luca Leoni, trentenne deputato da Cantù, nel pieno di Tangentopoli agitò il nodo scorsoio nell'aula di Montecitorio alludendo alla forca per i politici corrotti. A vent'anni da quell'immagine-simbolo di tutta una stagione politica, la Lega si trova a fronteggiare l'ennesimo scandalo legato alla gestione della sua cassa, il quarto in meno di un anno. Un anno vissuto pericolosamente (e spregiudicatamente, a leggere le carte dei pm) fra investimenti hedge fund, diamanti, paghette per la famiglia Bossi, affitti pagati ai maggiorenti del movimento, lauree albanesi, interventi di rinoplastica. E, per non farsi mancare niente, perfino l'ombra della 'ndrangheta. Una nemesi perfetta, se si pensa che l'abolizione del finanziamento pubblico era uno dei cavalli di battaglia del Carroccio celodurista degli esordi.

La bella vita dei senatori
L'ultima tegola è l'impiego allegro dei contributi al gruppo al Senato, circa 15 milioni dall'inizio della legislatura a oggi. Denaro, secondo quanto riferito ai magistrati romani dalla segretaria Manuela Privitera, speso per finalità che nulla avevano a che fare con l'attività politica: gli extra ai componenti dell'ufficio di presidenza e ai collaboratori, il plafond da 5 mila euro senza rendiconto per i senatori, l'affitto pagato al capogruppo Bricolo, le spese telefoniche di Calderoli, gli elettrodomestici acquistati da Media World. Un "welfare" di partito emerso già nelle altre inchieste che hanno scosso il Carroccio. Non del tutto slegate da quest'ultimo filone di indagine, se si considera che il conto Bnl della Lega al Senato era già finito nelle carte dello scandalo Belsito. Motivo: i prelievi effettuati dall'ex tesoriere del gruppo Piergiorgio Stiffoni, non troppo accorto nonostante il suo passato da bancario se perfino l'Unità di informazione finanziaria di Bankitalia si è insospettita per l'anomalia delle sue operazioni.

L'ombra delle mafie
E proprio l'inchiesta su Belsito rappresenta l'esempio lampante di questa mutazione antropologica in salsa leghista, imbolsita al punto nell'eterna guerra-farsa a Roma ladrona da averne assunto tutti i vizi capitali. Sulla base della ricostruzione dei magistrati, il rendiconto sull'utilizzo del finanziamento pubblico, firmato dall'ex tesoriere e controfirmato da Bossi, non corrisponde a verità. Scattano le accuse di truffa ai danni dello Stato, riciclaggio, appropriazione indebita. Si solleva il vaso di Pandora e spuntano le spericolate operazioni di shopping finanziario (per 7 milioni) con investimenti a rischio fra la Tanzania (Purchase Investment Funds), Cipro (Krispa Enterprise Ltd) e obbligazioni norvegesi, giustificate dalla mancanza di fiducia nei confronti della tenuta dell'Italia, a rischio default. E con l'ombra, pesantissima, della 'ndrangheta. Dal caveau del movimento che cercò di istillare il culto del dio Po, come fossero dei mistici beni rifugio emergono perfino dieci lingotti d'oro e undici diamanti (complessivamente circa 300 mila euro di valore). «Del governo Monti non ci fidiamo e poi la curva della quotazione dei diamanti è sempre e costantemente in salita, guardatevi il Sole24Ore», l'ineccepibile replica di Stiffoni. Indagato dai pm ed espulso dalla Lega pochi giorni dopo aver pronunciato queste parole.

Le paghette dei ragazzi
Viene alla luce la commistione di intrecci e interessi personali, col cerchio magico che usa la cassa leghista come un bancomat. E la cartellina "The family", che gli inquirenti trovano nella cassaforte di Belsito, che documenta la gestione (tutta privatistica) dei fondi (pubblici). Nel calderone finisce di tutto: i lavori di ristrutturazione della villetta di Gemonio, le ergazioni e il mutuo per la scuola Bosina fondata dalla moglie di Bossi, l'intervento di rinoplastica del "piccolo" Sirio, che con quel naso non si piace proprio, la paghetta da 5 mila euro al mese per i due figli maggiori che tuttavia non evita - stando alle carte dell'inchiesta - che il movimento si sobbarchi di tutte le loro spese. Dal noleggio della Porsche, i lavori di carrozzeria e le spese legali di Riccardo Bossi alle multe pagate al Trota, con laurea inverosimile all'università Kristal di Tirana, ottenuta sostenendo 29 esami l'anno. Non male per uno bocciato più volte alla maturità ed è figlio del leader che voleva sparare sugli scafisti albanesi.