venerdì 11 gennaio 2013

Guai ad avere in famiglia un anziano malato cronico!

C O M U N I C A  S T A M P A

Guai ad avere in famiglia un anziano malato cronico!

E’ questo il provocatorio monito che mi sento di sostanziare.

Ciò alla luce del fatto che non è solo il dato economico che rileva ma soprattutto una mancata strutturazione assistenziale, territoriale, e non, che sia effettivamente in carico al servizio sanitario regionale, e nazionale. Non quindi alle famiglie.
Il dato statistico a cui mi riferisco, per dettagliare l’entità del problema, è quello dell’ISTAT, che ha accertato, nel 2011, una percentuale del 50% di almeno una patologia cronica per un’età compresa tra i 65 e i 74 anni.
L’allarme sociale – dimenticato da tutti in questa campagna elettorale, e dal PARLAMENTO e GOVERNO italiano - è da ritenersi nella circostanza che, nella stragrande maggioranza dei casi, ad occuparsi della cura ed assistenza all’anziano  malato cronico è il solo nucleo familiare 
Questo cosa vuol dire?
Ai componenti delle famiglie oggi è attribuita, per surroga impropria, la funzione sanitaria, e assistenziale: quella che, nell’immaginario collettivo, dovrebbe essere retta dal SSN pubblico. Fenomeno questo che si lega pure alle gravose interdizioni nella conciliazione tra l’orario lavorativo e le esigenze di assistenza. Non è irrilevante la circostanza che si accompagna con licenziamenti e mancati rinnovi del rapporto di lavoro. Tutto ciò a minare un sistema che, in precario equilibrio, ha difficoltà nel fronteggiare i costi legati alla cura dell’anziano malato cronico. Si pensi una delle alternative "spintanemante" offerte è quella di sopportare un costo annuo di 27 mila euro per rette, qualora ci si volesse affidare a strutture residenziali, spesso PUBBLICHE.
La Costituzione italiana lo dice chiaramente nel suo, dimenticato, art. 32 che  la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.  E anche le leggi, che reggono le sorti del servizio sanitario nazionale, e regionale, sostengono che le cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere, sono dovute anche agli anziani cronici non autosufficienti. Non sono semplicemente anziani, sono pure malati gravi. In quanto malati hanno tutti i diritti ad essere curati dal servizio sanitario na­zionale, senza alcun limite di tempo, sia per la malattia che per le sue conseguenze invalidanti. Hanno diritto alla prevenzione della malattia che li rende invalidi, hanno diritto alla riabilita­zione precoce, che consente di ridurre il nume­ro di casi di cronicità e di perdita dell'autosuffi­cienza; il loro numero è oggi tanto elevato pro­prio a causa delle carenze del servizio sanitario nazionale nel campo della riabilitazione. Queste persone hanno diritto ad essere cura­te anche quando non potranno più guarire, dato che inguaribile non significa incurabile, anzi, ne­cessitando di maggiori cure ed impegno sociale. Il caso ricorrente è il seguente: fuori dall’ospedale c’è il vuoto di assistenza territoriale. Vorrei essere prontamente smentito, ma mi sa che è proprio così! Il paziente anziano/cronico viene dimesso dall’ospedale, e senza troppi filtri, anche comunicativi: sarà la famiglia ad occuparsi di tutto, senza aver ricevuto alcun orientamento o specifica informazione.
E, ancor più.
Hanno diritto a restare in ospedale per tutto il tempo necessario alla loro condizione e al loro stato, in condizioni umane, nel rispetto della loro persona, e non trattati come oggetti ingombranti e non graditi. Il malato non è solo un costo aziendale ma materiale umano, da  trattare sensibilmente.
Lo Stato, e la sua diramazione tentacolare di sistema, però latita, e parecchio.
Il peso delle responsabilità in materia di assistenza sanitaria e sociale, ribadisco, è all'attualità molteplicemente scaricato sulle spalle e sulle tasche delle famiglie.
I tagli alla sanità maturati negli ultimi anni, comprensivi di quelli di cui alla recente legge di stabilità (finanziaria 2013), e l’azzeramento dei fondi a carattere sociale - con la profilata tassazione delle pensioni e assegni di invalidità  - danno il “colpo di grazia” alle politiche sociali italiana.
Nessuna compagine partitica però ne parla in questo momento.
Per esempio.
In luogo dei disattenti politici, e candidati vari, ha dovuto ricordarlo la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 26 giugno 2012, che l’assegno di invalidità costituisce una provvidenza destinata non già a integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurarne la sopravvivenza”.
Chiudo, come ho iniziato, evidenziando un recente dato: nel 76% dei casi, contestualmente alle dimissioni ospedaliere, non viene attivata l’assistenza domiciliare. In due casi su tre, il medico di famiglia non interagisce con  ASL e Comuni  per l’attivazione dei servizi socio sanitari. Riguardo all’assistenza domiciliare integrata (ADI), il 65,3 per cento lamenta difficoltà nell’attivarla, il 50% la scarsa integrazione tra gli interventi di tipo sanitario e di tipo sociale e un numero di ore insufficiente.
Quasi nessuno è soddisfatto dell’assistenza che riceve a casa.  C’è poi da aggiungere la variabile regionale, così come riferita alla spesa pro capite per interventi e servizi sociali. Con riferimento ai Comuni si passa dagli 88 euro pro capite di Napoli ai 434 euro di Trieste.

Pier Ugo CANDIDO
Portavoce provinciale
DIRITTI e LIBERTA' Gorizia