C O M U N I C A S T A M P A
Guai
ad avere in famiglia un anziano malato cronico!
E’ questo il provocatorio monito che mi sento
di sostanziare.
Ciò alla luce del fatto
che non è solo il dato economico che rileva ma soprattutto una mancata strutturazione
assistenziale, territoriale, e non, che sia effettivamente in carico al servizio
sanitario regionale, e nazionale. Non quindi alle famiglie.
Il
dato statistico a cui mi riferisco, per dettagliare l’entità del problema, è quello
dell’ISTAT, che ha accertato, nel 2011, una percentuale del 50% di almeno una patologia cronica per un’età compresa tra i 65
e i 74 anni.
L’allarme
sociale – dimenticato da tutti in questa campagna elettorale, e dal
PARLAMENTO e GOVERNO italiano - è da ritenersi nella circostanza che, nella
stragrande maggioranza dei casi, ad
occuparsi della cura ed assistenza all’anziano malato cronico è il solo nucleo familiare
Questo
cosa vuol dire?
Ai
componenti
delle famiglie oggi è attribuita, per surroga impropria, la funzione
sanitaria, e assistenziale: quella che, nell’immaginario collettivo,
dovrebbe
essere retta dal SSN pubblico. Fenomeno questo che si lega pure alle
gravose interdizioni nella conciliazione tra l’orario lavorativo e le
esigenze di assistenza. Non è
irrilevante la circostanza che si accompagna con licenziamenti e mancati
rinnovi del rapporto di lavoro. Tutto ciò a minare un sistema che, in
precario
equilibrio, ha difficoltà nel fronteggiare i costi legati alla cura
dell’anziano malato cronico. Si pensi una delle alternative
"spintanemante" offerte è quella di sopportare un costo annuo di 27 mila
euro per rette, qualora ci si volesse affidare a strutture
residenziali,
spesso PUBBLICHE.
La Costituzione italiana lo dice
chiaramente nel suo, dimenticato, art. 32 che la Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti. E anche le leggi, che reggono le sorti del servizio
sanitario nazionale, e regionale, sostengono che le cure sanitarie, comprese
quelle ospedaliere, sono dovute anche agli anziani cronici non autosufficienti. Non
sono semplicemente anziani, sono pure malati gravi. In quanto malati hanno tutti i diritti ad essere
curati dal servizio sanitario nazionale, senza alcun limite di tempo, sia per
la malattia che per le sue conseguenze invalidanti. Hanno diritto alla
prevenzione della malattia che li rende invalidi, hanno diritto alla riabilitazione
precoce, che consente di ridurre il numero di casi di cronicità e di perdita
dell'autosufficienza; il loro numero è oggi tanto elevato proprio a causa
delle carenze del servizio sanitario nazionale nel campo della riabilitazione. Queste
persone hanno diritto ad essere curate anche quando non potranno più guarire,
dato che inguaribile non significa incurabile, anzi, necessitando di maggiori cure ed impegno sociale. Il
caso ricorrente è il seguente: fuori dall’ospedale c’è il vuoto
di assistenza territoriale. Vorrei essere prontamente smentito, ma mi sa che è proprio
così! Il
paziente anziano/cronico viene dimesso dall’ospedale, e senza troppi filtri, anche comunicativi: sarà la famiglia ad
occuparsi di tutto, senza aver ricevuto alcun orientamento o specifica
informazione.
E, ancor più.
Hanno diritto a restare in ospedale per tutto il
tempo necessario alla loro condizione e al loro stato, in condizioni umane,
nel rispetto della loro persona, e non
trattati come oggetti ingombranti e non
graditi. Il malato non è solo un costo aziendale ma materiale umano, da trattare sensibilmente.
Lo
Stato, e la sua diramazione tentacolare di sistema, però latita, e parecchio.
Il
peso
delle responsabilità in materia di assistenza sanitaria e sociale,
ribadisco, è all'attualità molteplicemente scaricato sulle spalle e
sulle tasche delle famiglie.
I
tagli alla sanità maturati negli ultimi anni, comprensivi di quelli di cui alla
recente legge di stabilità (finanziaria 2013), e l’azzeramento dei fondi a
carattere sociale - con la profilata tassazione delle pensioni e assegni di
invalidità - danno il “colpo di grazia” alle politiche sociali italiana.
Nessuna compagine partitica però ne parla in questo momento.
Per esempio.
In luogo dei disattenti
politici, e candidati vari, ha dovuto ricordarlo la Corte di Cassazione, con
l’ordinanza del 26 giugno 2012, che l’assegno di invalidità costituisce “una provvidenza destinata non già a
integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire
alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurarne la sopravvivenza”.
Chiudo, come ho iniziato, evidenziando un recente dato: nel 76% dei casi, contestualmente alle
dimissioni ospedaliere, non viene attivata l’assistenza domiciliare. In due
casi su tre, il medico di famiglia non interagisce con ASL e Comuni
per l’attivazione dei servizi socio sanitari. Riguardo all’assistenza
domiciliare integrata (ADI), il 65,3 per cento lamenta difficoltà
nell’attivarla, il 50% la scarsa integrazione tra gli interventi di
tipo sanitario e di tipo sociale e un numero di ore insufficiente.
Quasi nessuno è soddisfatto dell’assistenza che riceve a casa. C’è poi da aggiungere la variabile regionale, così come riferita alla spesa pro capite per interventi e servizi sociali. Con riferimento ai Comuni si passa dagli 88 euro pro capite di Napoli ai 434 euro di Trieste.
Quasi nessuno è soddisfatto dell’assistenza che riceve a casa. C’è poi da aggiungere la variabile regionale, così come riferita alla spesa pro capite per interventi e servizi sociali. Con riferimento ai Comuni si passa dagli 88 euro pro capite di Napoli ai 434 euro di Trieste.
Pier Ugo CANDIDO
Portavoce provinciale
DIRITTI e LIBERTA' Gorizia