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mercoledì 7 marzo 2012

Lettera aperta ai metalmeccanici: le vostre ragioni sono chiare e forti

Cari amici e amiche,
ho subito aderito all’appello del vostro segretario nazionale, Maurizio Landini, per partecipare
alla manifestazione di venerdì 9 marzo a Roma. Purtroppo un piccolo problema di salute mi
impedisce di essere fisicamente lì con voi. Ma moralmente sarò in prima fila per portarvi la mia
solidarietà e quella di tutta l’Italia dei Valori. Avrei voluto essere presente per incontrarvi personalmente e scambiare opinioni direttamente con voi.
So quanti sacrifici vi costino le otto ore di sciopero e la fatica del viaggio per arrivare sino a Roma. Le vostre ragioni sono chiare, forti e profondamente condivise da noi dell’Italia dei Valori. Con la democrazia non si scherza, e oggi, la Fiat si pone, di fatto, al di fuori delle regole democratiche.
Quando ignora le sentenze della magistratura che impongono il reintegro dei delegati
licenziati a Melfi, quando non assume i lavoratori con la tessera della Fiom in tasca a Pomigliano,
quando annulla contratti nazionali e aziendali unitariamente sottoscritti e ne applica altri mai
votati dall’insieme dei lavoratori, la Fiat straccia pubblicamente la sostanza più intima della
Costituzione repubblicana. Mette in scacco la stessa tenuta democratica del nostro Paese. Per
questo voi, oggi, non difendete solo i vostri diritti ma quelli di tutti i cittadini italiani.
Dopo il dramma del Ventennio berlusconiano, la nostra Repubblica non può rifondarsi di nuovo sui soprusi dei potenti e sui privilegi delle caste a danno dei lavoratori e di quelle imprese che investono in Italia e rispettano i diritti. È inaccettabile che si colpiscano coloro che comprendono il valore del lavoro: il vero e insostituibile elemento che può restituire competitività all’economia italiana.
Il principio base delle democrazie moderne è semplice: la legge è uguale per tutti. Deve
esserlo anche per la Fiat e per Sergio Marchionne.
Oggi ci incontriamo in nome della legalità tradita nei luoghi di lavoro e domani continueremo a farlo per riportare insieme la giustizia e la democrazia in Italia.

sabato 3 marzo 2012

Noi, sempre coi lavoratori!

FIOM. DI PIETRO, DIRITTI COSTITUZIONALI SIANO GARANTITI A TUTTI I LAVORATORI

“L’Italia dei Valori appoggia e condivide l’appello fatto questa mattina dal segretario Fiom, Maurizio Landini, e, come già annunciato, ribadisce che il prossimo 9 marzo sarà in piazza a Roma per la manifestazione indetta dai metalmeccanici della Fiom”. Lo afferma il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, commentando quanto scritto da Landini sulle pagine de ‘Il Fatto Quotidiano’.
“La ragione principale della nostra adesione è la volontà di vedere applicati il primo articolo della Costituzione, in cui si stabilisce che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, e l’articolo 39 in cui, invece, si afferma che i sindacati sono liberi e rappresentati proporzionalmente ai propri iscritti. All’interno della Fiat, invece, la Costituzione è stata completamente stravolta e a godere dei diritti costituzionali è solo chi firma ciò che vuole l’azienda. Lo dimostra il fatto che a Pomigliano gli iscritti alla Fiom non vengono assunti, mentre a Melfi, a tre lavoratori ingiustamente licenziati, si impedisce di rientrare a lavorare nonostante una sentenza della magistratura. La legge è uguale per tutti, anche per Marchionne il quale, invece di rispondere dei soldi pubblici che sono stati riversati su Fiat, da due anni continua solo a cercare capri espiatori. Marchionne deve spiegare che fine hanno fatto i 20 miliardi di investimenti per l’Italia, promessi ma mai fatti, deve dire quali altri stabilimenti intende chiudere dopo quelli di Termini e della Irisbus e quali sono i nuovi modelli di automobili che intende produrre nel nostro Paese. E sarebbe anche il momento di premiare, finalmente, la stragrande maggioranza delle imprese italiane, che invece di scappare all’estero, investono in Italia e rispettano i diritti dei lavoratori”.

lunedì 26 aprile 2010

Cum grano salis.

Non sono “compromettibili” le questioni relative al licenziamento dei lavoratori. La Commissione Lavoro della Camera ha escluso la possibilità di ricorso alla procedura arbitrale per la risoluzione di questioni relative al licenziamento. E’ stato così approvato l’emendamento relativo al disegno di legge in materia di lavoro. L’annoso dibattito intorno al contenuto dell’art. 31, si è concluso ieri con l’approvazione dell’emendamento di cui al comma 9 prevedendo che, la clausola compromissoria non possa riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro, e riconoscendo la possibilità per le parti di farsi assistere nella certificazione, davanti alla commissione ad hoc, “da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell'organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato”. Sul piano contenutistico è stato disposto che, il ricorso allo strumento arbitrale imponga il rispetto dei principi generali dell’ordinamento , dei principi regolatori della materia e di quelli derivanti dall’adempimento di obblighi comunitari. In ogni caso la clausola compromissoria potrà essere prevista e pattuita , se previsto , solo al termine del periodo di prova e in ogni caso non prima che siano decorsi almeno 30 giorno dalla stipulazione del contratto di lavoro. Resta salvo l’appello in Tribunale. Le modifiche apportate all’originario testo non hanno soddisfatto le parti sociali .La Cgil si è dichiarata pronta a dare battaglia. Secondo quest’ultima il ricorso all’arbitrato non dovrebbe poter essere previsto, al momento dell’assunzione per qualsiasi tipo ti controversia, e non solo per quelle concernenti il licenziamento del lavoratore.

giovedì 1 aprile 2010

Meno male! Il Presidente della Repubblica non promulga , e rinvia alle Camere, il ddl - lavoro.


Il presidente della Repubblica non ha promulgato e anzi rinviato alla Camere per una nuova deliberazione la legge-delega che comprende una controriforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. In pratica si tentava di aggirare la norma-chiave che consente al dipendente di ricorrere sempre al giudice del lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Ora si vorrebbe imporre al lavoratore (in oggettiva condizione di inferiorità) di scegliere, già al momento dell’assunzione, tra tutela giurisdizionale e arbitrato e, in questo secondo caso, senza possibilità di successivo appello al giudice. Giorgio Napolitano è stato indotto a tale decisione non solo «dalla estrema eterogeneità della legge» (un mostro omnicomprensivo: diecine di articoli, centinaia di commi) ma, si legge in una nota diramata dal Quirinale, «in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni, con specifico riguardo agli artt. 31 e 20 che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale». Con la citazione dell’art. 20, esplicito è il riferimento all’arbitrato-truffa che demolisce l’art. 18 dello Statuto.Con l’art. 31 si fa invece riferimento al dramma dell’amianto: le strutture di gran parte del naviglio statale, civile e militare ne sono ancora gonfie, con rischi gravissimi per la vita stessa degli equipaggi. Da qui la decisione di rinviare la legge alle Camere (potere del capo dello Stato in base al primo comma dell’art. 74 della Costituzione) per «un ulteriore approfondimento (…) affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale». Le Camere, preso atto del messaggio di Napolitano (letto a Montecitorio ieri pomeriggio), procederanno ad un riesame della legge per modificarla: obiettivo per cui si erano invano battute le opposizioni di sinistra e la Cgil. Il ministro del Lavoro Sacconi, che aveva voluto quelle norme con intransigente no a tutti gli emendamenti dell’opposizione, solo ora si dichiara genericamente disponibile ad «alcune modifiche» per «circoscrivere la possibilità di rinviare all’arbitrato, all’atto dell’assunzione, l’eventuale contenzioso». Comunque, dopo una seconda lettura e qualunque ne sia l’esito, il Quirinale dovrà promulgare la legge, in base al secondo comma dello stesso art. 74. Potrebbe sempre intervenire la Corte costituzionale, il “giudice delle leggi” (sarà un caso ma, mentre veniva resa nota la decisione del rinvio, Napolitano riceveva il presidente della Consulta, Amirante). Tre osservazioni, subito. La prima riguarda i tempi dell’impugnativa: con grande senso di responsabilità Napolitano ha atteso quasi l’ultimo giorno utile (il 3 aprile) per rinviare la legge, e ciò al fine di evitare che il gesto potesse essere interpretato come interferenza nella battaglia elettorale. La seconda: non solo è la prima volta, nel triennio già al Quirinale, che Napolitano rinvia una legge al Parlamento, ma – nel farlo – ha dato una netta impronta al suo gesto: la tutela dei diritti (salute, contratti) dei lavoratori. E qui scatta il terzo e più rilevante dato politico. Il ministro Sacconi ha subìto un clamoroso smacco: sconfessato non solo dalle opposizioni di sinistra ma da una marea di giuslavoristi e dalla Cgil, ora è stato costretto ad annunciare la disponibilità – sin qui insufficiente – a “modifiche”. Sotto botta altrettanto dura Cisl e Uil che pagano caro (glielo ha trasparentemente rimproverato il segretario della Cgil, Epifani, che esprime soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale) l’intempestivo plauso all’approvazione della legge-delega. Unanime soddisfazione delle forze che si erano battute in Parlamento contro le norme volute da Sacconi e dal centrodestra. «Riforme sì, ma senza forzature», sottolinea Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati Pd; Napolitano «ha esercitato il ruolo di garante della Corte costituzionale», dice il leader dell’Idv Di Pietro. «è schierato dalla parte dei lavoratori» per il segretario dei Comunisti Diliberto. Giorgio Frasca Polara