“Xe stà el tablet!”.
Con questa affermazione un operatore sanitario se la
sarebbe cavata, o almeno l’ha pensato, rispondendo, con troppa sufficienza, a
un degente che chiedeva perché il suo pasto non fosse stato corrisposto. Il
paziente era giustamente in attesa di quel cibo, che oggi in tanti nosocomi è
governato da una rigorosa regolarità, perché dettata dai rigidi protocolli
informatici. Come dirò, spesso ritmasti sulla carta.
Per capire bene.
Dopo le esternalizzazioni delle mense ospedaliere, ora le
singole commesse, o ordini, come riferiti al malato, vengono gestiti
simildomoticamente. Si sfiora uno schermo -
lì è riprodotto il dettaglio dei cibi ambiti dal “cliente”, ma in realtà
stabiliti da una seria dieta sanitaria - e tutto è fatto, o almeno
all’apparenza.
Se si inceppa qualcosa, la colpa di chi è? Del tablet
ovviamente.
Tornando al vissuto.
La pietanza finalmente arriva in stanza ma la relativa
targhetta riporta il numero, probabilmente letto invertito da chi non si sa
ancora bene (mistero delle scatole cinesi?), di un letto di altro paziente. E,
come si sa, in regime sanitario, anche il confondere l’alimentazione non è cosa
da sottovalutare. L’impotente “cliente”, chiede, allora, dell’altro da
mangiare, però null’altro c’è; nemmeno quel caffèlatte, probabilmente tanto
alternativamente desiderato, che ha domandato in subordine. “I reparti non
fanno più caffèlatte” è stata la laconica chiosa finale. Sta di fatto che, alla
sera, repete. E alle legittime rimostranze della povera malcapitata un
bel :”Signora, alla CARITAS xe la fila” chiudeva ogni aspettativa, con
il solito addizionale: “Tutta colpa di ‘sto tablet!”.
Suvvia, qualche soggetto fisico l’avrà pur attivato questo
strumento tecnologico, o qui l’intelligenza umana è stata completamente
surrogata da un tecnoprodotto senza che nessuno accorgesse?
Immagino che questa non sia la sanità, e il trattamento,
che uno si aspetta, specie se ammalato.
Se mal si interpreta il proprio ruolo professionale o lo
si esercita controvoglia, giustificandosi con l’ingiustificabile, va a finire
che si danneggia gravemente proprio quelli che, numerosi, invece dedicano,
anche vocazionalmente, la propria attività pubblica alla cura dei bisognosi, e,
in questo tempi di crisi universale, con grossi personali surplus: non
richiesti, ne contrattualmente mai valorizzati. Mai!
Un correttivo il sistema lo deve trovare, e velocemente,
perché è alto il rischio di esplosione. E di implosione: quella dell’umano
bisognoso, e suoi cari, per l’extramalessere cagionato; quello degli altri
colleghi, che “si fanno il mazzo” , per il disagio procurato; quello del
sistema sanitario, già provato da gestioni pluriennali poco efficienti e
retrive, perché danneggialo nell’immagine.
Pier Ugo CANDIDO