Lo stress del sistema sanitario come nocumento nel rapporto col malato.
Succede, e le cronache ne danno atto quotidianamente, che il nostro
sistema sanitario sia “stressato”, fisiologicamente e in forza, ora più
che mai, di rigide applicazioni normative statali, e regionali (quelle
recenti, bocciate, a Roma, sonoramente): in nome della presunta
efficienza si sottomettono le logiche di universalità
del servizio publico a quelle della ristrettezza economica, non sempre
motivata. Di conseguenza il personale, ai minimi storici in organico, è
spesso disorientato, assorbendo incondizionatamente quello che oggi il
sistema trasmette, una caotica organizzazione.
Si assiste, in
corsia, all’eccellenza della professionalità che si scontra con la
difficoltà di fare fronte alla quotidiana attività, deficiente, spesso,
degli strumenti ordinari per venire in essere. La manovrata
parametrazione di budget che, in nome della decantata scienza
aziendalistica, regge le sorti dei dipartimenti, dei nosocomi in genere,
dei servizi territoriali va a soffocare gli stessi meccanismi che essa
stessa ha adottato per un ipotetico miglioramento di prestazione
d'opera.
E il malato, in tutto questo, dove sta? Pare ai margini del sistema!
Mettere un povero malato al centro di questa sanità, quale l’attuale, vorrebbe forse dire togliergli ogni speranza?
Sarebbe auspicabile una riorganizzazione degli apparati che non si
limiti ad eliminare alcune strutture, nella speranza di far quadrare i
conti, ma che elimini le superfetazioni costitutive potenziando invece
le aree indispensabili, dotandole di persone adatte, numericamente e
qualificatamente (il "chi fa che cosa"), e con un minimo di
buon senso collettivo.
Pier Ugo CANDIDO