mercoledì 5 agosto 2009

C'eravamo tanto amati.


dal Espresso on line
Paolo Guzzanti, parlamentare del centrodestra eletto con il Pdl e poi passato al Pli, prima in un post e poi in risposta a un commento sul suo blog apre un nuovo capitolo sugli scandali sessuali di Berlusconi. Oltre a specificare di essere «tra quelli che pensano e anzi sanno che davvero tutto è politico, che la vita privata di una persona pubblica è pubblica e che si risponde di tutto», Guzzanti scrive di aver lasciato Berlusconi anche «per il suo atteggiamento puttaniero di disprezzo per le donne, tutte le donne, essendo un gran porco e una persona che ha corrotto la femminilità italiana schiudendo carriere impensabili a ragazze carine che hanno imparato solo quanto sia importante darla alla persona giusta al momento giusto, sollecitate in questo anche dalle madri, quando necessario. Quest'uomo ai miei occhi corrompe la gioventù e mina le basi della società minando il rispetto nei confronti della donna». Continua l'onorevole: «Ciò è avvenuto (l'abbandono del Pdl da parte di Guzzanti, ndr) in concomitanza delle voci, che io ho potuto verificare come purtroppo attendibili (non prove, ovviamente, altrimenti le avrei presentate io), secondo cui un famoso direttore ha mostrato e fatto leggere a un numero imprecisato di persone (deputati e deputate di Forza Italia per lo più) i verbali che tutti i direttori di giornale hanno, ma che avrebbero deciso di non usare su sollecitazione del Presidente Napolitano. Si tratta di trascrizioni da intercettazioni avvenute nell?ambito dell?inchiesta di Napoli e poi fatte distruggere da Roma, in cui persone che ora ricoprono cariche altissime si raccontano fra di loro cose terribili che la decenza e la carità di patria mi proibiscono di scrivere, anche se purtroppo sono sulla bocca di coloro che hanno letto i verbali. Io ne conosco almeno tre. Dunque io non ho molti dubbi su quato è accaduto ed accade». Poco oltre, in risposta a un lettore che gli chiedeva ulteriori chiarimenti, Guzzanti va oltre: «Io dico, e lo confermo, che le cose che mi sono state raccontate da più fonti (e io sono uno dei mille e più di mille raggiunto dai dettagliati resoconti di chi ha letto) sono assolutamente disgustose: rapporti anali non graditi, ore e ore di tormenti in attesa di una erezione che non fa capolino, discussioni sul prossimo set, consigli fra donne su come abbreviare i tormenti di una permanenza orizzontale pagata come pedaggio. I dettagli sono centinaia e non sono io che li nascondo, perché io sono soltanto uno cui alcuni lettori dei verbali (persone serissime, uomini e donne, tutti della stessa area di centro destra) hanno raccontato ciò che hanno letto, ovviamente con una massiccia concordanza dei dettagli stessi. Il giorno in cui un magistrato, lette queste mie parole, volesse interrogarmi per sapere da chi ho avuto queste relazioni e chi fosse il giornalista che ha fornito il materiale in lettura, farei il mio dovere e farei i nomi».

L'oltretomba....


"Il ministro per i Beni culturali e' a conoscenza del fatto che nella villa La Certosa, la residenza sulla costa sarda di proprieta' del presidente del Consiglio Berlusconi, sono state ritrovate una trentina di tombe fenicie? E se ne e' a conoscenza, da quanto tempo lo sa?". Queste ed altre domande sono state rivolte sia al ministro della Cultura sia al capo del governo con un'interrogazione firmata dal vicepresidente del gruppo Idv del Senato Fabio Giambrone.

lunedì 3 agosto 2009

Pd e dintorni: riflessioni di mezz'estate.



IL PARTITO CHE NON C'E' di Edmondo Berselli -L'Espresso.
Un equivoco incombe sul Pd e può soffocarlo. L'equivoco si iscrive nella parola 'partito'. Perché se lo scopo principale della dirigenza democratica consiste nell'articolare le strutture di una forza politica tradizionale, la parabola del Pd si è già interrotta.

Non si fa un partito compatto con il vuoto intorno. Non serve a nulla cercare il 'terzo uomo', o donna che sia, fra scelte coatte e lotte personali che risalgono alla Fgci. Serve a poco la caccia al giovane, soprattutto se i giovani sono inclini al populismo vernacolare di Matteo Renzi o politichine miracolate dalle circostanze come Debora Serracchiani (molti di loro, i cosiddetti 'piombini', sembrano 'giovani' specializzati nel fare 'il giovane' come in un film di Nanni Moretti).

Nonostante le rassicurazioni di Franceschini, e qualche salvataggio in corner alle amministrative, il Pd è un progetto pericolante. In primo luogo perché non ha ancora trovato la sua leadership. Secondariamente perché non è riuscito a declinare una cultura e a individuare un insediamento sociale e politico coerente ed espansivo.

Quanto al primo punto, classe dirigente e leadership, le implicazioni sono evidenti. I due principali candidati alla segreteria, Franceschini e Bersani, rappresentano esattamente ciò che sono: il primo, un frammento di cultura cattolica di cui è arduo individuare i confini, ma di cui si vedono facilmente i limiti (definiti da una posizione cristiano-sociale scarsamente orientata all'azione di governo).

Per ciò che riguarda Bersani, gli si può dare atto di una buona volontà nel colorare il compromesso socialdemocratico all'emiliana con la tradizione solidarista del mondo cattolico. Tuttavia, nonostante il sostanziale sostegno di Romano Prodi, quello di Bersani resta un progetto fin troppo tradizionale, difficilmente in grado di schiodare coalizioni di interessi finiti sotto la sigla berlusconiana.


La tentazione meno brillante, per il Pd, consisterebbe nel cercare soluzioni personaliste in assenza di personalità vere. Tanto per dire, si può giurare sulla capacità di amministratore di un uomo come Sergio Chiamparino. Ma nessuno può scommettere sulla sua qualità politica in senso lato. Sotto questa luce il 'Chiampa' vale, per capirci, Piero Fassino. Provata capacità professionale su una base migliorista.

Pensare allora di quadrare il cerchio di un congresso con l'invenzione di una leadership, o piuttosto di una candidatura, significa perdere di vista l'obiettivo di fondo. Che per il Pd consiste ancora nella costruzione di un movimento, proprio così, di un movimento politico, sociale e d'opinione, ben prima che di un partito strutturato.

Non ce l'ha fatta Veltroni, a confezionare questo post-partito, anche se il Lingotto era sembrato il romanzo di formazione, e di fondazione, di un movimento originale. Ma non c'è in gioco soltanto il 'Bildungsroman' della sinistra moderna, nei prossimi quattro mesi. C'è in ballo la chance di un'alternativa culturale al berlusconismo: ma per crearla occorre scappare fuori dal circuito dell'ovvio. E soprattutto dall'idea che il Pd sia già fatto e occorra soltanto sistemare le poltroncine.

No, al momento il Pd non esiste. Per farlo nascere non bisogna pensare a un partito, ma a una cultura. Ci vuole, e non sembri una bestemmia politica, la fantasia e la capacità di fare una Forza Italia di sinistra. Un non partito, certo. Uno strumento laico, secolarizzato, versatile, per lasciare al passato gli ideologismi della memoria politica. E con l'idea, finalmente, di passare all'attacco della destra, senza inibizioni, senza condizionamenti.

Succederà a Turriaco.

Mafia!


di Luigi DE MAGISTRIS.

Il fatto di aver espletato per circa quindici anni le funzioni di Pubblico Ministero in territori caratterizzati da una radicata e forte presenza della criminalità organizzata mi pone come osservatore privilegiato tanto da poter giungere alla conclusione che solo una parte dello Stato intende effettivamente lottare contro le mafie.

La mafia, dopo la stagione delle stragi politico-mafiose degli anni 1992-1993, ha deciso di adottare la strategia politico-criminale tipica della ’ndrangheta, ossia quella di evitare il conflitto armato con esponenti delle Istituzioni e di penetrare, invece, in modo capillare, nel tessuto economico-finanziario ed in quello politico-istituzionale.

L’infiltrazione nell’economia e nella finanza è talmente diffusa in tutto il territorio nazionale che le mafie contribuiscono ormai, in buona parte, al prodotto interno lordo del nostro Paese tanto da far sì che non si possa più distinguere tra economia legale ed economia illegale. Le mafie hanno enormi capitali da investire che rappresentano il provento della gestione del traffico internazionale di droga. Il riciclaggio avviene nel settore immobiliare, nelle finanziarie, nelle banche, nell’edilizia, nel commercio all’ingrosso ed al minuto, nelle società di calcio, nelle società che si occupano di ambiente, nella sanità, nei lavori pubblici; insomma, dove c’è denaro, dove c’è business, le mafie sono interessate.

E quando si controllano, illegalmente, settori nevralgici dell’economia nessun cittadino può dire che si tratta di problematiche a lui estranee, che non lo riguardano direttamente: difatti, se la criminalità organizzata controlla parte del ciclo dell’edilizia si comprende perché gli edifici si frantumano alla prima scossa di terremoto; se la criminalità organizzata gestisce i traffici di rifiuti tossico-nocivi si capisce perché in Italia c’è un’emergenza ambientale e sanitaria senza uguali nell’Unione Europea. La mafia, quindi, non è un problema solo di alcune regioni del Paese, non è un fatto per addetti ai lavori. E’ un’emergenza nazionale: criminale, politica, economica, sociale e culturale.

Attraverso, poi, la gestione illegale della spesa pubblica, il controllo dei finanziamenti pubblici (anche dell’Unione Europea), le mafie, in questi ultimi 17 anni in particolar modo, sono penetrate, in modo articolato e pervasivo, nella politica e nelle Istituzioni. Quando si riesce a controllare parte significativa della spesa pubblica - e mi riferisco soprattutto, in questo caso, alle regioni del Sud Italia, ma non solo - si condizionano appalti e sub-appalti in tutti i settori (ambiente, sanità, infrastrutture, informatica, formazione professionale, ecc.), si decide a chi affidare opere e lavori, quali progetti debbono essere approvati, si condiziona il mercato del lavoro decidendo insieme - criminalità organizzata, politica ed imprenditoria collusa - quali persone assumere ed alla fine si condiziona pesantemente la democrazia attraverso il voto di scambio che trova linfa con il vincolo delle appartenenze.

È nella gestione illegale della spesa pubblica, soprattutto attraverso la creazione di una miriade di società miste pubblico-private, che si realizzano anche le nuove forme di corruzione: non ci sono più, infatti, le valigette dei tempi di Chiesa e Poggiolini, ma le consulenze, i progetti, i posti nelle compagini delle società miste, le assunzioni, gli incarichi. E’ anche qui che avviene l’intreccio criminale tra controllori e controllati, è in questi segmenti che si radica il rapporto collusivo tra criminalità organizzata e pezzi delle Istituzioni: politici - che hanno realizzato anche le nuove modalità di finanziamento illecito dei partiti - funzionari e dirigenti di enti pubblici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Spesso il collante di questi segmenti deviati - non residuali, purtroppo - delle Istituzioni sono centri di potere molto influenti: logge massoniche coperte, lobby, comitati d’affari, club di servizi, strutture talvolta con ampie radici nel mondo ecclesiastico.

Di fronte ad un cancro di tali dimensioni la lotta alle mafie a 360 gradi viene svolta da irriducibili: taluni magistrati ed appartenenti alle forze dell’ordine, singoli politici, esponenti della società civile. Siamo ancora troppo pochi e sotto assedio dei poteri forti e di quelli criminali. Lo Stato, nel suo complesso, invece, si accontenta del contrasto solo ad un certo «livello» di mafia: le estorsioni, il traffico di droga, gli omicidi. Quando si affronta, invece, il nodo fondamentale - quello che rappresenta la linfa vitale del sistema mafioso - i rapporti mafia-politica, mafia-economia e mafia-istituzioni, si rimane isolati: non è più lo Stato che agisce, ma servitori dello Stato.

E’ su questi temi che la storia d’Italia ha conosciuto la stagione degli omicidi politico-mafiosi, è su tali intrecci criminali che si stanno consolidando quelle che si possono chiamare le morti professionali di servitori dello Stato da parte di articolazioni dello Stato stesso: si tratta delle tecniche raffinatissime di neutralizzazione dei servitori dello Stato scomodi, ingombranti, deviati ed antropologicamente diversi per il sistema mafioso. Quello che è più grave è che tali nuove strategie - per nulla estemporanee - avvengono nel silenzio e, in taluni casi, anche con il contributo di chi dovrebbe essere tra i principali alleati di coloro i quali contrastano - non con chiacchiere o passerelle politico-istituzionali - le forme più pericolose ed insidiose delle mafie: quella dei colletti bianchi del terzo millennio.

Ed è su questi temi che ho trovato importanti le immediate prese di posizione congiunte, con riferimento alla lotta alle mafie, al Parlamento Europeo - nelle prime riunioni - tra parlamentari di Italia dei Valori e Partito democratico. Ed è per questo che tutte le forze democratiche del Paese debbono vigilare affinché le indagini in corso presso le Procure di Palermo e di Caltanissetta non subiscano interferenze che possono provenire non solo dalla politica, ma anche dall’interno dello stesso ordine giudiziario: non posso non ricordare che, in epoca assai recente, indagini giudiziarie molto rilevanti proprio sulla criminalità organizzata dei colletti bianchi non sono state fermate dalla mano militare dei Riina e Provenzano di ultima generazione ma dalla carta bollata del Consiglio Superiore della Magistratura che ha trovato convergenze parallele con la politica ed i poteri forti.