domenica 20 luglio 2014

Riforma PA: è modernità sostituire la nomina politica alla laurea?

Nella riforma della Pubblica Ammnistrazione è stata recentemente inserita una norma che consentirebbe ai sindaci di nominare nei propri staff, con stipendi da laureati, anche persone non laureate.
Non comprendo quali argomentazioni tecniche o giuridiche o di opportunità sorreggano una simile disposizione. 
La Costituzione, e leggi che reggono la PA, fanno sì che essa non è paragonabile ad un’azienda privata: qui il proprietario si organizza come meglio crede, e ritiene, libero di assegnare incarichi di vertice a chiunque per perseguire gli obiettivi aziendali.
La Costituzione (art.97), e le norme che regolano l’accesso agli impieghi pubblici, determinano , invece, discipline ferree e che si muovono in senso diametralmente opposto al sistema privato: per svolgere determinati incarichi, funzionario o dirigente, occorre la laurea come requisito obbligatorio.
Perchè mai proprio la laurea?
Per un motivo semplice: essendo la PA patrimonio della collettività, e al suo servizio, la selezione, per le attività da svolgere, va fatta per i migliori candidati possibili sia per requisiti professionali che per concorso.
Non vorrei che la riforma della PA, incensata da molti con un inno alla modernità e all’efficienza, venga trasformata nell'ennesima occasione per ottenere posti ben remunerati e di potere  come “premio” per la fedeltà partitica o al leadership del momento, prescindendo da investimenti nella formazione, puntando tutto su un feudale atto di vassallaggio.